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di Simone Oggionni

«Se l’essere comunista importa responsabilità, l’accetto»: non sappiamo se il giovane compagno catanese abbia mai avuto l’occasione di leggere la trascrizione dell’interrogatorio che Antonio Gramsci subì nel maggio 1928 dal presidente del Tribunale Speciale e, in particolare, questa sua ferma assunzione di responsabilità.Fa effetto rileggerle oggi, all’indomani di una notizia che rischia di segnare un punto di non ritorno. Una struttura pubblica (come sono i servizi sociali) motiva la richiesta al Tribunale di Catania di sottrarre alla madre l’affidamento del figlio sedicenne con il fatto che questi è iscritto «ad un gruppo di estremisti», cioè ai Giovani Comunisti del Prc. La Prima Sezione Civile del Tribunale (e cioè l’organo giurisdizionale di primo grado della Repubblica italiana, non un club privato) accoglie e conferma l’impianto suggerito dai servizi sociali.Ci sono frasi, all’interno dell’ordinanza, che colpiscono per il disprezzo che non riescono a celare nei confronti dell’attività politica della nostra organizzazione. Come quando si scrive che «pare che il segretario del circolo [di un gruppo di estremisti] abbia provveduto a convincere all’iscrizione e all’attivismo altri ragazzi». «Pare»: come se si stesse rivelando contro ogni logica l’esistenza di una attività illecita di adescamento, come se il fine della iniziativa politica non fosse anche, ovviamente e naturalmente, la crescita del consenso. Oppure, ancora, come quando i luoghi frequentati dal nostro compagno vengono definiti «posti di ritrovo […] dove è diffuso l’uso di sostanze alcoliche e psicotrope». Insomma: i nostri circoli, le nostre sedi, i centri sociali si trasformano – per i servizi sociali e per il Tribunale di Catania - in vere e proprie centrali criminogene. Il punto è però un altro, e ben più profondo. Se l’ordinanza non venisse revocata, come chiede il legale della madre, saremmo di fronte ad un precedente pericolosissimo, nella misura in cui renderebbe ammissibile (cioè giuridicamente fondata) ogni pretesa che vertesse intorno alla definizione nei termini di «fattispecie di reato» dell’adesione ad un partito comunista.Una volta accettato il principio per il quale militare o aderire, financo frequentare un partito comunista, costituisce un atteggiamento deprecabile sul piano sociale e un’aggravante sul piano giuridico, che cosa impedisce ad un giudice di condannare – per il suo atteggiamento socialmente deprecabile e giuridicamente inopportuno – un imputato per «militanza comunista»?E che cosa impedisce al legislatore di espellere dalla legalità – come è stato fatto nei mesi scorsi in Repubblica ceca – la stessa organizzazione giovanile comunista?La Costituzione italiana, si dirà. Purtroppo non è più sufficiente, come dimostra da un lato un’attività esecutiva segnata (per esempio in materia di sicurezza) dall’autoritarismo e dalla foga repressiva e discriminatoria e, dall’altro, un senso comune diffuso che piega (per esempio nei casi sempre più frequenti di violenza razzista di massa) le garanzie democratiche ad uso e consumo dei valori dominanti. In Italia sta accadendo qualcosa di molto grave, e basterebbe mettere in fila alcuni fatti di cronaca degli ultimi mesi per capire quanto poco strampalata sia la provocazione agitata da Asor Rosa in ordine ai rischi più che concreti di «fascistizzazione» del quadro politico e sociale italiano.Si pensi – su piani diversi – alle aggressioni popolari ai campi rom di Napoli e Roma del maggio scorso e alle schedature di massa decise da diverse amministrazioni locali oppure alle dichiarazioni del presidente della Camera Gianfranco Fini sull’omicidio di un giovane veronese ad opera di cinque neonazisti (a suo dire meno grave dell’atto di bruciare alcune bandiere).Oppure si pensi, ancora, alla re-distribuzione dal basso verso l’alto (attraverso il taglio dell’unica tassa patrimoniale) che falcidia il principio della democrazia economica; allo smantellamento della proprietà pubblica dei diversi fattori della ricchezza sociale (casa, servizi pubblici locali) e della struttura stessa dell’amministrazione statale; alla militarizzazione sistematica del territorio nazionale; al ricorso sempre più accentuato, in un’ottica presidenzialista, ai dispositivi di accentramento del potere esecutivo; all’insofferenza – e su questo il cerchio rischia di chiudersi – nei confronti di una architettura istituzionale costruita intorno all’indipendenza dei poteri dello Stato.Dentro un quadro così drammatico, oggi «l’essere comunista importa responsabilità». Noi questa responsabilità la sentiamo per intero e, prima ancora, sentiamo il dovere di difendere la nostra comunità politica. Quindi non lasceremo solo il compagno del circolo Tien-an-men. E, insieme a lui, torneremo presto in piazza per contrastare – con i soliti mezzi: la lotta politica, l’intelligenza, la passione – questa drammatica regressione civile, politica e morale.

Il congresso di Luca

di Mariella Parmendola

Questa è la storia di Luca, della sua scelta e del nostro partito. Comincia con un incontro, come la maggior parte dei racconti, e si sviluppa attraverso il radicarsi di una rinnovata voglia di partecipazione. Luca è un operaio. Da lui e da chi con lui costituisce la forza produttiva del nostro Paese la sinistra deve ripartire. E’ su un terreno comune, quindi, che si snodano le cinque mozioni del VII congresso del Prc, ma se si stringe la visuale su Luca, sulle sue domande e sulle risposte che il nostro partito deve dare appaiono divisioni inaspettate e distruttive per il cammino da riprendere dopo la sconfitta elettorale. L’incontro tra Luca e il Prc è avvenuto a Castellammare di Stabia. Città di cui in questa fase si discute nella nostra organizzazione politica decisamente di più di quanto se n’è parlato come realtà simbolo della battaglia contro la privatizzazione di Fincantieri e della difesa dell’Avis, nonostante sia stata animata da Rifondazione in tutte le sue articolazioni: parlamentari, dirigenti, coordinamenti dei lavoratori del Prc negli otto cantieri navali. Luca ha scelto di iscriversi a Rifondazione per continuare la sua lotta a difesa del posto di lavoro e ha deciso di farlo dopo la vittoria di Berlusconi sentendo di dover allargare l’orizzonte della battaglia, condotta fino ad ieri da delegato Fiom, per poter avere una chance di vittoria. Da poco padre, sente messo in discussione il suo ruolo in una fabbrica che ripara carri ferroviari. In Campania questo settore è in ripresa, vive una stagione economica felice, ma il proprietario intende vendere lo stabilimento per ripianare debiti che il gruppo ha contratto altrove. Il dialogo tra Luca e il partito è cominciato, quindi, sul terreno di una vertenza, iniziata un anno fa. La sua adesione al Prc è maturata in questo processo, si è radicata sotto i colpi della pesante sconfitta politica e si è tradotta in voglia di militanza. Delle ragioni di una scelta che può vivere con uguale legittimità quando si esprime con il voto alle elezioni, con l’iscrizione al partito, l’adesione attiva fino alla partecipazione alla costruzione dei gruppi dirigenti, dovremmo parlare in questo congresso. E invece Luca è finito in una melma. Insultato, durante il congresso stabiese, nel mentre si svolgeva il voto, e dopo con una raffica di dichiarazioni di dirigenti locali e nazionali incapaci di accettare la volontà di una maggioranza. I comunisti non discutono della sua Avis, ma per giorni del congresso al quale ha partecipato. Del suo voto per Vendola è stato detto di tutto. A Castellammare si è manifestata “una Opa dei Ds” accusa Russo Spena scegliendo una tribuna autorevole come il quotidiano “Libero”. Per altri della mozione Ferrero lo scandalo, invece, è che nel circolo di Castellammare siano arrivate mamme con bambini, lavoratori presi dalla fretta di dover tornare nel proprio stabilimento, giovani infastiditi da un’attesa resa insopportabile dal caldo di un fine giugno nel mezzogiorno d’Italia. Ma le fantasie più perverse le ha scatenate qualche iscritto che, radicato in una cultura povera e arretrata, non è riuscito ad esprimersi con il “tu” dei compagni, rifugiandosi in un “voi” di altri tempi e quindi non meritando la promozione nel decalogo non scritto della mozione Ferrero. E allora ripartiamo dai numeri per fare chiarezza. A Castellammare hanno votato 146 iscritti: 137 per la mozione 2, 8 per la prima e uno per la quarta. Tra i 137 votanti 56 erano nuovi iscritti e 81 vecchi tesserati. Nel 2007 il circolo aveva 156 tesserati. A quei volti sono state assegnate diverse etichette a secondo di quanto risultava più utile ai fini di una sterile polemica congressuale. A volte si è trattato di elettori di Berlusconi, altre di veltroniani, altre ancora di comparse prestate da Sinistra democratica a Vendola, grazie alla gentile concessione del sindaco di Castellammare Salvatore Vozza. Un ignaro Vozza finito in un ricorso, per mancanza del senso del ridicolo, colpevole di aver partecipato alla fase iniziale del congresso per portare i saluti di un’amministrazione della quale la nostra forza politica fa parte sin dal suo atto di nascita. Persino la presenza dei segretari di Cgil e Cisl, intervenuti per confrontarsi sui temi del lavoro in una delle città attraversate da un drammatico tasso di disoccupazione, scolorisce in una narrazione dai contorni completamente distorti per polemica congressuale. A tanto fango non corrisponde una sola circostanza dimostrabile con dati di fatto. Eppure di ciò si parla a Roma come a Napoli senza che la Politica riesca a riappropriarsi del suo spazio. Rischia perciò di sparire dall’orizzonte il contenuto politico che a Castellammare ha portato a nuovi ingressi e a ricomposizione di fratture. L’unità della sinistra è un processo complesso, che vivrà dei tempi lunghi dell’approfondimento e della ricerca. Un percorso che nei territori dovrà farsi largo dal fango da cui rischiamo di essere sommersi tutti. Il Prc stabiese ha superato la traumatica frattura determinata dalla dissoluzione dell’esperienza amministrativa di Ersilia Salvato, nata con un movimento dal basso e finita malissimo. L’attuale gruppo dirigente, accusato di essere costola del Pd o di Sd, ha eletto segretario un compagno che tre anni fa era schierato fortemente con Ersilia Salvato contro Vozza. Ma ora io ed Enzo Celotto siamo dalla stessa parte per combattere con Luca. E allora basta. Non spingiamo tanto oltre la polemica da non poter più cancellarla con la fine del congresso. Diamo una possibilità a Luca, a noi stessi e al popolo della sinistra.

DR.DRER & CRC POSSE

" circu sa paxi e s'armoniaagatu gherra e sa tiranniasu bentu 'e mari portat calorisu bentu estu fadit bolaiboxis ki nanta ca seus totus uguallis...! "
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Saludi a totus, quest'estate la band DR.DRER & CRC POSSE è DISPONIBILISSIMA per concerti, feste, rassegne, festivals ed iniziative. DR.DRER & CRC POSSE è UNA STORICA BAND MILITANTE, il più longevo gruppo Sardo di rap e reggae, essendo attivo sin dal 1991.
Quest'anno nuova formazione e nuove canzoni!! Alla precedente formazione, composta da dr.drer, Mau e dr.radio, (arrepadoris), da Alex P (consolle e drum machine), e Francesco Bachis(Ratapignata) alla tromba quest'anno si sono aggiunti:- Riccardo "Frichi" Dessì (Mucca Macca) al basso elettrico- Giorgia Loi (già Tanca Ruja, Andhira) come voce corista e solista.
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Se non ci conoscete già, ascoltate le nostre canzoni dal nostro sito http://www.crcposse.org/
Si possono scaricare ed ascoltare tanti nostri brani in formato mp3. La nostra esibizione live può arrivare, a seconda delle situazioni, fino adue ore e mezza ed oltre.
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Per contatti:
Michele 34603220
Alessandro 3281536231

"Intercettazioni" Scandalosa proposta del governo!

dal blog di Beppe Grillo

Musica per organi caldi. Tendini, polmoni, cuori. La clinica Santa Rita di Milano con il suo tariffario delle morti è il sintomo, non la malattia. La spesa della Regione Lombardia è per il 60/70% sanità. I soldi che Formigoni riceve dallo Stato vanno, in massima parte, a ospedali, cliniche, medici, paramedici, infermieri. Pubblici e privati. I partiti sono i grandi elemosinieri della sanità lombarda, occupano le ASL con i loro uomini, impongono i loro dirigenti. Potere, voti, carriere. C’è voluta la magistratura per scoprire che il Santa Rita era una macelleria alla milanese. Nessun controllo da parte della Regione. Eppure la clinica era sempre nelle top ten dei decessi. Eppure i dipendenti della clinica accusano l’ASL di aver saputo “dal settembre del 2007, ma di non essere intervenuta prontamente”. Chi paga, la Regione, dovrebbe verificare che chi riscuote, cliniche e ospedali, siano in regola, ma non lo fa. Pagare senza verificare crea il tumore a piè di lista. Ma la Regione non è nelle condizioni di POTER verificare. I controlli sono effettuati da 10 dipendenti dell’ASL. Sono i terribili ispettori del NOC, Nucleo Operativo di Controllo. In 10 devono controllare 800.000 cartelle cliniche all’anno. Una missione impossibile. Se Formigoni non può controllare, perché può comunque pagare? Se il NOC ha come referente la Regione non ha forse un conflitto di interessi? Se sorprende un politico con le mani in una marmellata di prostata cosa fa? Denuncia o chiude gli occhi? Quando i controlli sono resi a priori inesistenti una ragione c’è. Non è un problema di risorse. E’ un problema di connivenze, di tangenti, di mazzette. Dove non ci sono controlli la corruzione ha le mani libere. Chi lo vuole? Quello che è successo al Santa Rita è il prodotto interno lordo del cancro applicato alla politica. Il successore di Mastella, Angelino Alfano, promosso sul campo dallo psiconano, ha rassicurato i cittadini. Le intercettazioni al Santa Rita ci sarebbero state anche con la nuova legge sulle intercettazioni. Quella che fissa l’asticella ai reati per cui è prevista una pena di più di dieci anni. Angelino ha riso, un po’ come l’infame Franti nel libro: “Cuore”. E ha detto: “Quelli lì sono finiti in galera per omicidio! Sono super intercettabili, ci mancherebbe altro…”. Franti Alfano ha dimenticato un particolare, le intercettazioni sono state eseguite per “truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche” e per “falso in atto pubblico”. Solo in seguito si sono scoperti i presunti omicidi. Truffa e falso sono puniti con sei anni con la legge Franti. Quindi non intercettabili. Per salvare lo psiconano l’Italia si è trasformata in un Paese di delinquenti a piede libero. Per intercettarlo i giudici dovranno accusarlo almeno di strage.

Studenti sotto il rettorato di Cagliari

L'assemblea sotto il rettorato per la consegna delle lettere di protesta per l'aumento delle tasse universitarie al Magnifico si terrà giovedì 12 giugno alle ore 16.00 sotto la sede del rettorato in via Università... E' importante partecipare ed essere presenti per mostrare che anche all'Università di Cagliari esiste una cultura del dissenso, che noi studenti non siamo più disposti ad accettare passivamente decisioni calate dall'alto e che desideriamo essere parte attiva nei processi decisionali interni al nostro ateneo e non marginalizzati con una rappresentanza fittizia e numericamente irrisoria.Chiediamo i servizi che ogni ateneo degno di chiamarsi tale dovrebbe avere , spazi per poterci incontrare, discutere, studiare e progettare attività culturali e di controinformazione che vadano aldilà delle nozioni che ci vengono propinate con la didattica canonica.Vogliamo ricoprire quel ruolo che ci spetta, ovvero quello di controllori della qualità della didattica, perchè abbiamo il diritto anche noi di giudicare l'operato di chi ci dovrebbe "formare" e non essere solo giudicati.Contro la cultura baronale, la banalizzazione del processo formativo e la commercializzazione del sapere.
Ribadiamo l'invito a partecipare all'assemblea in via dell'università presso la sede del rettorato giovedì 12 alle ore 16.00

CPF Sardegna

CPF Oristano
Adesioni ai documenti congressuali.
Moz.1 : 13
Moz.2 : 4
Moz.3 : 9
Moz.4 : 1
Moz.5 : 0

CPF Sassari
Adesioni ai documenti congressuali :
Moz.1 : 4
Moz.2 : 17
Moz.3 : 3
Moz.4 : 2
Moz.5 : 0

CPF Sulcis Iglesiente
Adesioni ai documenti congressuali :
Moz.1 : 9
Moz.2 : 16
Moz.3 : 0
Moz.4 : 0
Moz.5 : 0

CPF Nuoro
Adesioni ai documenti congressuali :
Moz.1 : 19
Moz.2 : 32
Moz.3 : 0
Moz.4 : 0
Moz.5 : 1

CPF Ogliastra
Adesioni ai documenti congressuali :
Moz.1 : 1
Moz.2 : 10
Moz.3 : 0
Moz.4 : 0
Moz.5 : 0

CPF Cagliari
Adesioni ai documenti congressuali :
Moz.1 : 19
Moz.2 : 38
Moz.3 : 0
Moz.4 : 0
Moz.5 : 0

Rom e romeni in attesa dell’allontanamento dall’Italia

"Se questo è un uomo..."

Non sappiamo ancora quale forma prenderà il progetto del governo di cacciare gli zingari, i rom, romeni dall’Italia. E siccome i rom nuovi arrivati, dei cui crimini si è tanto parlato negli ultimi mesi in Italia, vengono dalla Romania, il progetto prevede anche di limitare la presenza dei Romeni in Italia, di filtrarli alle frontiere, tanto più che anche i romeni non rom hanno commesso numerosi crimini e reati. Si infrangerebbe però così una norma europea, perché la Romania è entrata nell’Unione Europea il 1.o gennaio 2007. Questo ingresso ha fatto dei Romeni dei cittadini europei, e anche i rom sono diventati cittadini europei visto che in Romania erano cittadini romeni. Mentre, sia detto tra parentesi, da noi in Italia, paese civile, gli zingari sono in gran parte apolidi, ai quali noi neghiamo la cittadinanza italiana e non riconosciamo i nostri stessi diritti.
Zingari, abbiamo detto. Cioè rom. Giornali e politici si sono imposti da tempo un tabu linguistico che vieta di chiamare gli zingari con questo nome. I giornali non scrivono mai zingari, ma nomadi, rom, perfino slavi. Lo stesso fanno i programmi televisivi. Adesso si dice e si scrive soprattutto romeni, intendendo anche i rom. Non sarà inutile precisare che rom e romeni non sono la stessa cosa. I rom stanno ai romeni come i nostri zingari (rom anche loro, o shinti) stanno agli Italiani.
Gli zingari, i rom e gli altri gruppi che portano altri nomi, sono arrivati in Europa dall’India nel Medioevo. In Italia erano già presenti nel XV secolo. Erano calderai ambulanti, più tardi sono diventati commercianti di cavalli. Nell’Europa orientale sono musicisti. Suonano nei matrimoni e nelle altre feste. Alcuni sono diventati grandi interpreti. Ma la gran parte di loro non si è mai assimilata, e nemmeno integrata, né in Italia, né negli altri paesi europei né negli altri continenti dove il loro nomadismo li ha portati: Nord Africa, America. Una parte degli zingari si sono sedentarizzati, ma la gran parte è rimasta nomade. A primavera le loro roulottes riprendono il loro cammino, secondo itinerari noti. Una volta erano carovane tirate da cavalli, ma i percorsi erano gli stessi. Cervantes (nella sua splendida Gitanilla) e García Lorca in Spagna, Victor Hugo in Francia, Ion Budai-Deleanu in Romania hanno cantato la libertà del popolo zingaro, come Tolstoj quella di Ceceni.
Gli zingari sono ladri, sono pericolosi? Qualche volta sì. Ma come ha scritto recentemente Guido Ceronetti nel Sole Ventiquattr’Ore (doemincale, 11 maggio 2008) “il pugno della legge” non può essere disgiunto per loro “dalla comprensione di un mistero spirituale che da sempre accompagna tutte le races maudites di questo strano pianeta”, e, aggiungerei prosaicamente, dal rispetto per i diritti fondamentali dell’uomo. Anche se Ion Mailat, zingaro romeno, ha ucciso a Roma una donna il 31 ottobre 2007 a Tor di Quinto, non per questo possiamo dire che tutti gli zingari sono assassini. Sappiamo che Mailat ha agito da solo, senza complici, e che il suo atto criminale è stato segnalato alla polizia da un’altra zingara dello stesso campo. Ma questo delitto è diventato nell’immaginario di molti, un immaginario che molti politici condividono o temono, il delitto emblematico della presenza dei rom e dei romeni in Italia. Una colpa da punire non sull’individuo, ma sull’intera nazione.
La Comunità di sant’Egidio, in un suo documento dedicato allo stato dei rom romeni in Italia ricorda che negli anni Cinquanta i giudici minorili svizzeri avevano aperto un dibattito sull’alto numero di reati compiuti da minori italiani “Ci si chiese allora, si legge nel documento, se non vi fosse una propensione culturale della popolazione italiana al furto. Una idea avvalorata da molta letteratura europea.” Il dibattito si spense appena la popolazione italiana acquisì un migliore status sociale, aprendo negozi e ristoranti e i reati diminuirono, ma gli stessi sospetti si appuntarono subito sui nuovi venuti, portoghesi, poi jugoslavi, infine turchi.
Non sappiamo se i Romeni, rom e non, arriveranno a migliorare il loro status sociale in Italia, che oggi è spesso marginale, o se, come si ventila, saranno cacciati prima. In quest’ultima ipotesi, non ci resta da chiederci chi saranno i loro successori.
Possiamo anche chiederci cos’aveva fatto l’Italia davanti all’arrivo, previsto, di migliaia di zingari romeni dopo il 1 gennaio 2007. Come si è saputo dopo i colloqui italo-romeni seguito all’omicidio Mailat, l’Italia non aveva nemmeno chiesto all’Europa le sovvenzioni che questa mette a disposizione degli stati nazionali per l’assistenza agli zingari. Sei mesi dopo, da quanto si apprende, il Comune di Genova pensa ancora di provvedere ad alloggiare i rom romeni del territorio con i fondi europei assegnati … alla Romania. È toccato alla sottosegretaria romena Dana Varga, di etnia rom lei stessa, ricordare alle autorità della Liguria che esistono fondi europei a disposizione dell’Italia per questo scopo.
Per equità dobbiamo anche ricordare che, prima che arrivi il decreto anti-rom, i diritti elementari degli zingari romeni sono già stati violati più volte in Italia. Tra il 2007 e il 2008, a Roma e a Milano e, temo, anche in altre civilissime città italiane, sono state messe in azione le ruspe per distruggere i campi dei rom. A Milano gli zingari, dopo lo sgombero del campo della Bovisasca, sono stati inseguiti e dispersi, e così temo in altre città. Se non fosse stato per la protesta dell’Arcivescovo di Milano, il Cardinal Tettamanzi, la notizia non sarebbe uscita dalle pagine locali dei giornali.
Saremo dunque noi, italiani europei del XXI secolo, i primi a perseguitare un popolo che vive tra di noi da almeno da sei secoli? Certo, i primi del nuovo secolo, non i primi in assoluto, visto che la Germania nazista, nel 1933, li ha privati di tutti i diritti, poi li ha avviati ai forni crematori, dove ne sono scomparsi, pare, cinquecentomila.
Rom, nella lingua indoeuropea degli zingari, vuol dire “uomo”. Ricordate le parole di Primo Levi? “Se questo è un uomo…”

Lorenzo Renzi
Lorenzo Renzi é un insigne linguista. "I suoi studi di romenistica, distribuiti lungo un arco di trentacinque anni, ci raccontano la storia di una lunga fedeltà, nutrita di impegno scientifico e ricerca ma anche di incontri, amicizie, viaggi, legami intensi con luoghi e persone. Questa fedeltà è testimoniata, tra l'altro, da una ricca attività 'militante' di interventi giornalistici, segnalazioni, schede, oltre che da una quantità di pre/postfazioni a pubblicazioni sulla lingua e la civiltà letteraria romene"